QUESTA TERAPIA FUNZIONA?
- Agostino Ciusani
- 31 mar
- Tempo di lettura: 4 min

Le leggi della postura (ossia evitare il dolore e farlo in modo più economico possibile) sono leggi della natura e analogiche in qualsiasi aspetto della persona: fisico-meccanico, biochimico, psico-emotivo e spirituale.
Di fronte ad un dolore, possiamo distinguere 2 macro disposizioni che il paziente (inconsciamente) andrà ad utilizzare.
LA PRIMA.
La percezione del vantaggio di “guarire” (comprendere e risolvere un dolore) supera i vantaggi secondari di tenere quel “dolore”.
Come si applica la legge del non dolore in questo caso?
“C’è meno dolore nel risolvere il dolore presente che nel tenerlo!”
Sono quei pazienti motivati, che si informano, chiedono, fanno, si sbattono.. e se sono delusi, perseverano nel cercare la soluzione al loro “problema”. Non si lasciano “abbattere”, non mollano e solitamente, prima o poi, trovano quello che cercano.
Questi pazienti si assumono la responsabilità del successo del proprio guarire.
In queste persone le terapie “funzionano” poiché c’è accordo tra l’intento (conscio e inconscio) della persona e la terapia, che è la più affine alle loro esigenze e aspettative (non esiste a priori in assoluto una migliore di un’altra).

LA SECONDA.
C’è una dissociazione tra l’intento coscio e inconscio: il primo intento può anche (non sempre) voler “comprendere per risolvere” mentre il secondo riconosce invece un vantaggio maggiore nel mantenere il problema “presente”.
Come si applica la legge del non dolore in questo caso?
“Tenere il dolore presente è meno doloroso di quello che potrebbe succedere se non ci fosse”.
Questi pazienti spesso non vogliono “guarire”: o non si curano; o vengono spinti da altri a curarsi (es: la moglie, che per un suo personale dolore, vuole che il marito si curi) oppure fanno terapie, ma non volendo realmente guarire, tali terapie “non funzionano”.
Inconsciamente si posizionano come vittime, traggono energia dal far fallire le terapie e vogliono trascinare il terapista in questo fallimento.
Nel campo della medicina manuale ad esempio si presenta una dissociazione tra quello che il corpo comunica e il sentire della persona. Ad esempio: a fine seduta il corpo si è liberato, si muove meglio ma il paziente dice che non è cambiato niente. Questa sua attitudine nel tempo poi andrà anche a ricreare tali blocchi nel corpo.

Da dove nasce allora questa strategia apparentemente “disfunzionale e assurda”?!
Anche tale strategia è biologica, ossia segue le logiche della vita, ossia la legge del “non dolore”.
Facciamo alcuni esempi:
1) La nonnina che vuole tenere il male alle gambe (dolore secondario) per fare in modo che i nipoti vadano tutti i giorni a trovarla (dolore primario: solitudine)
2) Il giovanotto che preferisce tenersi il mal di schiena (dolore secondario) continuando a sovraccaricarsi di impegni/responsabilità piuttosto che alleggerirsi di pesi “non suoi” e rispettare i propri limiti e confini. Ha bisogno di sovraccaricarsi, quindi di tenere il suo mal di schiena, per non entrare in contatto con un suo dolore primario (senso di inadeguatezza, inferiorità, non accettazione).
3) Il signore che preferisce tenersi il dolore alle anche (dolore secondario) piuttosto che “spostarsi” da un ambiente che non fa più per lui. È ancorato a quella situazione, quindi al suo dolore alle anche, per non sentire il dolore primario (giudizio – se vado cosa penseranno di me; tradimento – se vado mi sembra di tradirli, preferisco tradire me stesso)
Tutti noi possiamo vivere tali dinamiche.
Possiamo “vestirci” della prima disposizione per una situazione, della seconda per un'altra. Possiamo sulla stessa situazione passare dalla seconda alla prima. Ad esempio quando siamo talmente “stufi” del vantaggio secondario che, sempre per legge del minore dolore, passiamo dalla seconda alla prima disposizione.
Una domanda preziosa che potremmo farci quando un dolore rimane è “Quale vantaggio ne traggo dal tenermi questo dolore? Cosa succederebbe se sparisse?”.
Questo può aiutarci ad intuire quali dinamiche possono muoversi dentro la nostra “postura psico-emozionale-comportamentale”.
Il vedere tali dinamiche consente di prenderne Consapevolezza, quindi Comprensione [capacità di contenere in sé / “abbracciare”] quindi Risoluzione [dalla chimica “re-solvere”, ossia sciogliere un “grumo” (dolore) nella sua soluzione].
E se il sistema non ha più un movens (una ragione) perché dovrebbe continuare a spendere energia per dei processi (che noi chiamiamo patologia) molto costosi dal punto di vista energetico?! Va in contraddizione con la legge di economia della biologia.
Questo non vuol dire assolutamente che curarsi non sia utile, anzi, ma che per guarire spesso dobbiamo affiancare alla cura la comprensione.
Ogni cambiamento richiede una forma “divina” di energia: il coraggio.
L’agire del cuore. Il prenderci per mano amorevolmente (come un genitore con il proprio figlio) e accompagnarci nel voler comprendere qualcosa di scomodo/doloroso dentro di noi, per poi poter andare avanti, più espansi, più consapevoli, più ricchi.
Il coraggio è un’energia divina, in quanto trascende la legge di sopravvivenza che ci porta ad agire per non sentire dolore. Attraverso l’energia del coraggio, possiamo entrare nel dolore per comprenderlo, quindi liberarci da esso. Ciascuno, in ogni circostanza, può attingere a questo potere dentro di sè. Un “terapeuta” vero non è un soppressore di sintomi, ma un facilitatore per il paziente nel suo processo di comprensione di sè, quindi di guarigione.
Dott. Agostino Ciusani
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